A proposito di Barenboim

La musica risveglia il tempo

Daniel barenboim, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, 2007, p. 185, 15,00€

A proposito dell’incontro con barenboim…

Un bel libro. Un bel libro diviso in due parti: la prima “più meravigliosa”, squisitamente musicale, “teoria dell’interpretazione per i non addetti ai lavori”, alcuni hanno detto. La seconda è la storia di un’orchestra, di un’integrazione, di un avventura. Poco più di 120 pagine (esclusa l’appendice) scritte con chiarezza e con amore. Per musicisti, per non musicisti.

Io l’ho letto in un mese. A voler essere precisi, l’ho letto in un paio di viaggi in treno, e poi ancora per un mese intero, ma solo parzialmente. Sarò in aula magna a farmi autografare la prima metà del libro, quella piena di foglietti, di sottolineature, di note a margine, di aggiunte, di pensieri personali, di passioni. La parte squisitamente astratta, quella che parla di musica, non di politica.

 

   “Questo non è un libro per musicisti o per non musicisti, è piuttosto un libro per le menti curiose di scoprire la corrispondenza tra musica e vita, e la saggezza che diventa comprensibile all’orecchio pensante. Tali scoperte non sono privilegi riservati ai musicisti di grande talento che fin dalla tenera età ricevono una educazione musicale, nè una torre d’avorio od un lusso riservato ai ricchi; sono convinto che sviluppare l’intelligenza dell’orecchio sia una necessità fondamentale”

La cultura deve rendere (?)

Vi riporto il secondo paragrafo del capito quarto Economia e cultura da un libro estremamente interessante di Mariella Zoppi, Beni culturali e comunità locali, Electa, Milano, 2007. 

È un libro molto recente e presenta riflessioni efficaci. Qui l’autrice parla del rapporto tra economia e cultura, riallacciandosi alla visione di Settis (Mariella Zoppi è dal 1986 professore ordinario di urbanistica alla facoltà di Architettura di Firenze, di cui è stata preside dal 1990 al 1994), ma in modo più propositivo, esprimendo una concezione di territorio meno utopistica di De Varine e orientata ad una visione gestionale immensamente meno banale di quella di Kerbaker.

Ultima cosa. Questo libro, come quello che avevo già citato di Settis, appartiene ad una collana stupenda dal titolo Electa per le Belle Arti. Per chi fosse interessato, molti libri sono in vendita al bookshop della Pinacoteca di Brera, ma ancora più fornito è quello della GNAM di Roma. Mi rendo conto che è un po’ più lontano, ma vi assicuro che trovereste libri interessanti. Se capitate a Roma, visitate la Galleria Nazionale d’Arte Moderna perché merita davvero. Se mostrate il libretto di Storia dell’Arte, Scienze dei Beni Culturali e credo anche quello dell’interfacoltà, entrate gratis e non pagate neppure le mostre temporanee. Vi ho sottolineato quello che mi sembra più significativo.

La cultura deve rendere

Siamo di fronte a un dilemma: da una parte la cultura costa e questo è di certo un problema nella contingenza economica del paese, ma d’altra parte la cultura è una particolarità che fa dell’Italia in tutto il mondo una terra attrattiva e attraente per uomini e merci (made in Italy, turismo culturale, prodotti di lusso e di alta qualità). Una peculiarità che rende necessario investire in cultura, conservare il nostro patrimonio, proteggere il nostro paesaggio. Ma non può ridursi solo a questo, la cultura non è solo un passato da studiare e mostrare, è soprattutto un presente da vivere, la capacità di esprimerlo e di concretizzarlo in esperienze creative, in grado di far germogliare i semi del futuro, un’esperienza che potrà essere tanto più ricca per quanto saprà avvalersi della consapevolezza e della vastità della sua storia. Per questo investire in cultura non può essere ristretto alla sola protezione del patrimonio, né tanto meno deve avere il significato di spesa a “fondo perduto”, ma deve avere tutte le caratteristiche della spesa di investimento. Niente, infatti, è potenzialmente più redditizio. Investire in conoscenza è già di per sé un investimento produttivo, e non si può banalizzare riducendolo ad un errato sillogismo: se la cultura è una ricchezza del paese, come ogni ricchezza deve produrre reddito e lo deve, preferibilmente, produrre nel breve e medio periodo. Niente è più sbagliato, superficiale e pericoloso. […] Va evidenziata la vischiosità di questa impostazione che vede il patrimonio culturale come un insieme statico che non ha bisogno di riprodursi e alimentarsi, ma solo di essere conservato per essere fruito (non a caso la parola “fruizione” si è recentemente affiancata anche per il legislatore ai più antichi termini di valorizzazione e gestione) ovvero usato e sfruttato. Una prassi che, ricondotta a obbiettivi puramente economici, può essere pericolosa se è rivolta esclusivamente al breve periodo senza curarsi della crescita culturale del paese, né di un futuro che potrebbe essere consumatore di se stesso, e quindi perdente a lunga scadenza. […] La centralità dell’interesse, il focus strategico della politica sui beni culturali non risiede nel patrimonio culturale in quanto tale, ma nella coesione tra beni, infrastrutture e attività culturali che devono essere continuamente alimentate, pena il declino proprio di quelle “derivate” che producono reddito, ovvero delle economie collegate (ospitalità, commercio, ristorazione) che sono una conseguenza e non l’elemento di messa in moto del sistema. Il binomio beni-attività è dunque il tema strategico da affrontare e implica lo studio e la messa in rete di tutte quelle relazioni che legano monumenti, attività creative, paesaggio e territorio. In breve, significa portare a sistema e connettere le buone pratiche esistenti, previste o prevedibili: questa è un’esigenza, anzi un’urgenza, del paese.

Nella ricerca di una crescita culturale dell’Italia, non va trascurato nessun aspetto, non va disprezzato né demonizzato nulla: dalla piccola mostra d’arte alle manifestazioni nazional-popolari, dal restauro sofisticato di una pala trecentesca alla riorganizzazione dei musei e delle biblioteche o al recupero di tradizioni popolari che si vanno perdendo. Tutto concorre alla composizione e alla continuità di vita del patrimonio: conservare per tramandarlo in modo attivo fa parte di quel binomio “diritto-dovere” che è connaturato alla cultura. Infatti se la cultura è un diritto, come ogni diritto va da una parte garantito e dall’altra parte consapevolmente acquisito ed esercitato. Questo significa organizzare e creare un sistema di relazioni complesse e non lasciarlo alla deriva con poche risorse, con episodiche priorità, qualche clientela e benevolenza elargita, mantenendo una marea di problemi irrisolti affidati a un personale insufficiente, magari qualificato, ma tenuto in condizioni di marginalizzazione se non di precarietà, all’interno di una logica che vede la cultura come parte del tempo libero e non cardine essenziale della formazione individuale e sociale di tutti i cittadini. 

Francesca TROVALUSCI – LS Storia dell’Arte

 

L’impossibile è più facile del difficile

Vi segnalo questo prestigioso evento: partecipare numerosi sarà un importante segno di sostegno al nostro corso di laurea.

Celebrazioni per il 60° anno della Facoltà di Economia

L’Impossibile è più facile del difficile

Incontro con il Maestro

Daniel Barenboim

e la

West-Eastern Divan Orchestra

Aula magna

12 giugno 2008 ore 18

Il M° Daniel Barenboim è uno dei massimi musicisti al livello internazionale. Nato a Buenos Aires nel 1942, riceve le prime lezioni di pianoforte a cinque anni e dà il suo primo concerto pubblico a sette anni. Nel 1952 si trasferisce in Israele con i genitori. A undici anni segue le lezioni di direzione d’orchestra tenute a Salisburgo da Igor Markévitch. Durante quella estate incontra anche Wilhelm Furtwängler e suona per lui. Furtwängler scrive allora: “L’undicenne Daniel Barenboim è un fenomeno”.

A dieci anni debutta in sede internazionale come pianista a Vienna, Roma, Parigi (1955), Londra (1956) e New York (1957). Da allora effettua tournées in Europa, e negli Stati Uniti, ma anche in Sud America, Australia e Estremo Oriente.

Nel 1954 inizia la sua carrire discografica come pianista. Negli anni Sessanta registra i Concerti per pianoforte di Beethoven con Otto Klemperer, di Brahms con John Barbirolli nonché tutti quelli di Mozart con la English Chamber Orchestra, in questo caso sia come pianista sia come direttore.

Fin dal suo debutto come direttore nel 1967 a Londra con la Philharmonia Orchestra, è molto richiesto in tutto il mondo. Fra il 1975 e il 1989 è direttore principale dell’Orchestre de Paris dove sovente programma lavori di compositori contemporanei quali Lutoslawski, Berio, Boulez, Henze, Dutilleux.

Debutta come direttore operistico al Festival di Edimburgo nel1973 con Don Giovanni di Mozart. Nel 1981 dirige per la prima volta a Bayreuth dove tornerà ogni estate per diciotto anni fino al 1999. In questo periodo dirige Tristan und Isolde, Der Ring des Nibelungen, Parsifal e Dei Meistersinger von Nurnberg di Wagner.

Dal 1991 è direttore principale della Chicago Symphony Orchestra e dal 1992 direttore musicale generale della Deutsche Staatsoper di Berlino.

Nel 2000 la Staatskapelle di Berlino lo proclama direttore principale a vita.

Sia nel repertorio operistico che in quello sinfonico Daniel Barenboim e la Staatskapelle lavorano a vasti cicli compositivi. Elogi internazionali salutano sia la rappresentazione ciclica di tutte le opere di Richard Wagner alla Staatsoper di Berlino sia la presentazione di tutte le Sinfonie di Beethoven e di Schumann, eseguite non solo a Berlino, ma anche a Vienna, New York e Tokyo.

Nel 2005 Barenboim fonda con i musicisti della Staatskapelle un “kindergarten musicale”.

Durante il 2007 ha eseguito tutte le sinfonie di Mahler.

Nel 1999 Daniel Barenboim fonda,assieme al letterario palestinese Edward Said, il West-Eastern Divan Workshop che ogni estate riunisce giovani musicisti di Israele e dei Pesi arabi per suonare musica insieme.

Nell’estate 2005 l’Orchestra presenta nella città palestinese di Ramallah un concerto di alto significato storico, trasmesso in televisione. Il workshop cerca di stabilire un dialogo fra le varie culture del Medio Oriente e di promuovere l’esperienza di “suonare insieme”.

Nel 2002 Daniel Barenboim e Edward Said ottengono il Principe de Asturia Prize nella città spagnola di Oviedo per i loro tentativi di pace.

Nel novembre dello stesso anno Daniel Barenboim ottiene il Tolerance Preis dalla Evangelische Akademie Tutsing come pure il “Großes Verdienstkreuz mit Stern” della Germania. Nel 2004 viene onorato per il suo lavoro di riconciliazione in Medio Oriente dal Deutscher Koordinierungs-Rat con la Buber-Rosenzweig-Medaille. Nel marzo 2004 è insignito dello Isreale Wolf Foundation’s Art Prize nella Knesset di Gerusalemme. Nella primavera 2006 gli viene consegnato il “Kulturgroschen”, il più alto onore concesso dal Deutscher Kulturrat. In maggio riceve l’International Ernst von Siemens Musikpreis nel corso di una cerimonia a Vienna. Nello stesso mese, a Francoforte, viene insignito del “premio per la pace “della “Geschwister Korn undGerstenmann-Stiftung”. A inizio febbraio 2007, a Wiesbaden, ottiene il “Hessischer Friedenpres 2006”. Nel marzo dello stesso anno gli viene consegnata la “Goethe Medaille”. Nello stesso mese il Presidente francese Jacques Chirac gli consegna a Berlino “la Cravate de Commandeur dans l’Ordre National de la Légion d’honneur”.

Con l’inizio della stagione 2007-08 del Teatro alla Scala inizia anche per Barenboim un periodo di stretta collaborazione con la Scale dove diventa Maestro Scaligero e inaugura la Stagione con il Tristan Und Isolde.

Dopo l’incontro in Università Cattolica, ultimerà alla Scala il ciclo delle sonate di Beethoven che sta tenendo contemporaneamente nel teatro milanese e al Barbican di Londra e debutterà, dopo il successo ottenuto a Berlino, con il Giocatore di Prokof’ev.

La West-Eastern Divan è una orchestra formata da giovani musicisti professionisti provenienti dallo Stato di Israele e da paesi arabi del Medioriente (Palestina, Siria, Giordania, Arabia, Egitto) e integrata da giovani colleghi spagnoli. E’ stata fondata nel 1999 dal maestro israelo-argentino Daniel Barenboim e dal filosofo palestinese-statunitense Edward Said (poi scomparso nel 2005) al preciso scopo di dare una possibilità ai musicisti che ne fanno parte di entrare in contatto tra loro e di dialogare con l’universo umano, sociale politico e culturale dei loro colleghi: una possibilità che l’attuale situazione politica non renderebbe loro possibile. Perciò l’orchestra si è data il nome “Divano occidentale-orientale”, ispirandosi al titolo di una raccolta di poesie di Goethe, che tra il 1814 e il 1817 aveva vissuto una nuova primavera creativa, grazie alla scoperta dell’Islam e allo studio della grande poesia persiana di Hâfez (XIV sec.). Il risultato di questi anni di esplorazione appassionata fu la raccolta di poesia Il Divano occidentale-orientale, un titolo che rendeva omaggio alla summa della poesia di Hâfez, il Divan appunto, che in persiano significava “canzoniere”, nella quale due culture diverse ma non antitetiche, quella occidentale e quella orientale appunto, si completano l’una nell’altra.

L’iniziativa ha ricevuto il sostegno logistico e finanziario dapprima dalla città tedesca di Weimar, poi dalla Junta de Andalucia, dove i quasi cento musicisti si danno appuntamento ogni estate per lavorare in un workshop con professori provenienti dalle migliori orchestre europee e per preparare un programma da concerto da effettuarsi poi in tournée nei mesi di agosto e settembre. Mentre godono dell’opportunità di una autentica crescita professionale, dimostrata dalle numerose incisioni discografiche e videografiche, i giovani professori d’orchestra imparano, attraverso la musica, ad ascoltare e a far convivere una polifonia di voci diverse (umane, religiose, politiche, culturali) in un modo che i fautori dell’iniziativa ritengono più efficace, seppur non sostitutivo, dei colloqui di pace che intercorrono tra le delegazioni diplomatiche dei rispettivi paesi: un modo insomma di conoscersi e rispettarsi, pur mantenendo le diversità, che costituisce il miglior fondamento di ogni politica di pace nell’area del Medioriente.

Dal 1999 a oggi, l’orchestra ha effettuato concerti in ogni parte d’Europa (anche in Italia, alla Scala, nel settembre 2006) e nelle Americhe. Un particolare traguardo simbolico ha rappresentato per il “Divano” l’effettuazione del concerto a Ramallah, in Palestina, nell’agosto 2005, proprio mentre era in corso il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza: un avvenimento costruito tra mille difficoltà logistiche ma che ha permesso di lasciare un segno duraturo di convivenza e tolleranza in una città martoriata dalle scorribande terroristico-militari.

Tutti i concerti del “Divano” sono diretti da Daniel Barenboim. Con l’orchestra hanno suonato anche solisti di fama internazionale come il violoncellista Yo Yo Ma.

L’iniziativa è stata curata dal Corso di Laurea in Economia e Gestione dei Beni Culturali e dello spettacolo, interfacoltà tra Economia e Lettere e Filosofia e prevede anche che l’Università Cattolica del S.Cuore contribuisca attivamente a seguire e a incentivare il lavoro dei ragazzi della West-Eastern Divan Orchestra attraverso il conferimento di una borsa di studio per il sostegno della formazione di uno degli orchestrali.

Per motivi organizzativi, si prega di confermare la propria partecipazione all’ufficio manifestazioni 02.72343848.

“Formidabili quegli anni”

Volevo segnalare la lettura di questo libro: “Formidabili quegli anni” di Mario Capanna.

Non riguarda fondamentalmente ne i beni culturali ne l’economia ma, rifacendomi un pò alle idee di de Varine, ritengo possa essere interessante leggerlo nel 40° anniversario degli avvenimenti del ’68, senza per questo voler entrare in merito all’ ancora attuale dibattito tra l’autore e il rettore dell’università.

Sopratutto per chi come il sottoscritto non è milanese, ritengo interessante cercare di conoscere i fatti che si son sviluppati proprio nei chiostri della “nostra” Università Cattolica, patrimonio della memoria questo che non deve essere dimenticato.

Rimarco ciò grazie anche ad uno spettacolo di teatro-canzone interpretato da Giulio Casale da poco in circolazione con il titolo omonimo che riprende gli stessi argomenti e li amplifica ed approfondisce spostando l’attenzione, grazie anche all’ausilio della musica, sul fatto di conoscere il proprio passato per poi poter meglio sviluppare il proprio futuro.

Grazie per l’attenzione

Schiavi Gian mario 

 

mostra Enrico Carozzi ed Aldo Cortina

Volevo segnalare a tutti la mostra “Due amici, una passione:la pittura” dedicata ad Aldo Cortina ed Enrico Carozzi, due pittori milanesi poco conosciuti ma che sono stati molto attivi ed apprezzati soprattutto nel panorama artistico italiano e che hanno contribuito ad esaltare con le loro tele il cuore vero della vecchia Milano, ritraendo con le loro pennellate gli scorci più belli e suggestivi della nostra città. La mostra è aperta ogni domenica dalle 10.00 alle 20.00 fino all’ultima domenica di maggio ed è ubicata in uno degli angoli più caratteristici di Milano: il vicolo dei lavandai (alzaia naviglio grande). L’ingresso è libero. Consiglio vivamente questo evento a tutti coloro che sono affezionati a questa città per rivivere gli anni più vivi e i luoghi, sconosciuti a molti, della nostra Milano.

Tommaso Abbiati

Segnalazione bibliografica: MUSEI E BENI CULTURALI: VERSO UN MODELLO DI GOVERNANCE, di M. Montella

Mondadori Electa, 2003Volevo segnalare questo libro a tutti coloro che, come la sottoscritta, hanno una scarsa conoscenza delle problematiche economico-gestionali relative ai Beni Culturali. Musei e beniculturali: verso un modello di governance (Milano: Mondadori Electa S.p.A, 2003) è un testo scritto da Massimo Montella (tra gli altri incarichi è dirigente presso la Regione Umbria per i musei e i beni culturali ed è docente di Economia e Gestione dei Beni Culturali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata) e focalizzato sul tentativo di dare una contestualizzazione della sistuazione della gestione (nel senso più ampio del termine) dei Beni Culturali non solo nella storia della nostra legislazione, ma anche in relazione ai più recenti sviluppi dell’economia (ci sono riferimenti alla new economy) e al definirsi di un nuovo rapporto tra società e istituzioni (il welfare society fino al cosiddetto welfare mix). E’ utile, credo, soprattutto per venire in contatto con termini, per noi storici dell’arte, spesso nuovi, ma che (anche per esempio in Hugues de Varines) ricorrono non raramente quando si parla di gestione dei Beni Culturali (soprattutto quando questa viene affrontata a livello regionale e locale): sussidiarietà, sviluppo sostenibile, governance. Una posizione interessante l’ho notata nel secondo capitolo (Funzioni, tecniche e finalità, da pagina 38) che inserisce chiaramente la conoscenza delle cose e dei Beni Culturali nel campo della tutela (e non, per esempio, nella promozione). Dopo capitoli molto più specifici, relativi all’Economia dei Beni e degli istituti culturali, a una definizione e una riflessione sulla nozione di Museo Moderno e di Azienda di gestione dei Beni Culturali, concentrandosi anche sull’Economia della prevenzione del rischio ambientale, concludono il testo delle riflessioni sulla Nuova Regolamentazione dei musei per i beni culturali (distinti concettualmente dagli altri musei – Ex. Scienza e tecnologia, relativi all’informatica, ecc.). Molto chiaro e funzionale anche l’apparato legislativo.

Alessandra Turetta

 

“l’arte si finanzia con il Lotto”

Volevo segnalarvi questo articolo,mi sembrava interessante soprattutto in relazione alla lezione 9. Forse alcuni di voi l’avranno già letto..

http://archiviostorico.corriere.it/2008/maggio/11/Restauri_pochi_soldi_spesi_solo_co_9_080511168.shtml

un parere

vi linko quello che Giordano Bruno Guerri scrive oggi sulle pagine de Il giornale.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=262074

Bella Italia: un libro di articoli di Cesare de Seta

2007

Lavorando in una Biblioteca e Centro di Documentazione mi sono imbattuta in un testo che credo possa essere interessante all’interno di questo corso: Bella Italia: patrimonio e paesaggio tra mali e rimedi, edito da Mondadori-Electa nel 2007 e scritto da Cesare de Seta,storico dell’arte e dell’architettura moderna e contemporanea che attualmente insegna all’Istituto italiano di Scienze Umane, dirige il Centro Studi sull’Iconografia della città europea all’Università di Napoli Federico II e dal 1974 ha insegnato a più riprese presso l’Ecole des Hautes Etudes eb Sciences Sociales di Parigi.

Più che di un vero e proprio libro , si tratta di una raccolta di articoli scritti dallo stesso de Seta e pubblicati nei vari quotidiani e periodici nazionali a partire dal 1983 circa fino al 2007, raccolta che segue quella precedente, edita nel 1976 dalla Piccola Biblioteca Einaudi col titolo di Città, territorio e Mezzogiorno in Italia. Per rendere più agevole il percorso del lettore gli articoli sono stati suddivisi in cinque argomenti (che rappresentano anche gli unici cinque capitoli del libro):

  1. Beni Culturali: politiche deboli e riforme pericolose
  2. La gestione del patrimonio storico e artistico
  3. Usi propri e impropri delle “cento città”
  4. Bel Paese: calamità, abusi e condoni
  5. Crimini e misfatti

Personalmente, e in base al tema del nostro corso, ritengo che le sezioni più interessanti siano le prime due, con particolare riferimento all’articolo che si trova a pagina 72 e che a suo tempo fu pubblicato in “La Repubblica” (21 agosto 2002) con il seguente titolo: Patrimonio dello Stato spa e la vendita dei beni dello Stato. Il rimando primo è certamente a uno dei testi che il prof. Villa ci ha chiesto di approfondire per l’esame, quello, cioè, di Salvatore Settis. Forse anche perchè si tratta di un articolo pubblicato su un quotidiano di larghissima diffusione o forse perchè de Seta si sente molto coinvolto nell’argomento, il tono di questo articolo (tono che in realtà si ripete intatto per numerosi altri suoi contributi!) è decisamente irriverente e polemico! Molto simile a quello, forse più sarcastico, di Settis: gli esempi portati da entrambi sottolineano quanto potenzialmente, a seguito delle iniziative degli utlimi governi, sia possibile perdere gran parte del nostro patrimonio culturale (“Nisida è proprio un saldo; non dico al lettore il prezzo perchè altrimenti si precipita subito al Demanio a fare la sua offerta e a strattonare il funzionario di turno” C. de Seta, p.72-73). Certamente il testo di Settis, essendo imperniato prevalentemente sulla problematica anche legislativa relaitva al nostro Patrimonio Culturale e soprattutto trattandosi di un testo vero e proprio, è molto più approfondito e con riferimenti molto più specifici e chiari non solo alla legislazione, ma anche alla bibliografia precedente (riferimenti che mancano completamente in quello di de Seta… non dimentichiamoci, però, che si tratta di un semplice “collage ragionato” di articoli finalizzati alla più vasta divulgazione). Di questo testo non ho letto altro che una decina di articoli, quindi, almeno per ora, non mi sento di “osare” troppo in un giudizio. Tuttavia credo che si tratti di uno strumento molto ultile e “maneggevole”: all’inizio di ogni capitolo c’è l’elenco di tutti gli articoli contenuti in quella sezione con la pagina di riferimento ed è quindi possibile leggere e approfondire solo determinati argomenti (per esempio, per tutti coloro che stanno seguendo Storia dell’Arhitettura Moderna del prof. Rovetta, a pagina 334 c’è un articolo relativo al restauro della cupola di Stanta Maria del Fiore). Trattandosi poi di Cesare de Seta, personaggio certamente autorevole nel settore della gestione e della tutela dei beni culturali e ambientali, è sicuramente importante per noi studenti studiare le sue posizioni critiche, i suoi ragionamenti e le sue motivazioni.

Altri articoli che mi sento di consigliare perchè inerenti al nostro corso sono i seguenti: L’inflazione delle mostre e la politica della cultura-spettacolo, a pagina 105 (pubblicato dal “Corriere della Sera” il 30 marzo 1984), e L’amministrazione ordinaria dei Beni culturali langue a tutto vantaggio della cultura-spettacolo, a pagina 114 (pubblicato in “Sette” del “Corriere della Sera” il 7 maggio 1988). Come si vede alcuni di questi articoli non sono molto recenti… però è bello (ma soprattutto formativo) sfogliare la storia del pensiero di un così grande studioso che di fatto riflette la storia della, ormai annosa, polemica sulla tutela e sulla valorizzazione del patrimonio culturale in Italia.

Alessandra Turetta

la morte del Louvre (Passepartout)

Non so se a qualcuno di voi è capitato di guardare la puntata di Passepartout (Philippe Daverio, Rai3) del 27.04. Io ne ho vista solo una parte, ma l’ho trovata molto interessante perché il caso del Louvre è stato preso come pretesto per parlare della condizione e della funzione odierna dei musei. Purtroppo, non so se sono previste repliche e apparentemente sul web non ci sono le registrazioni delle puntate, quindi mi limito a indicarvi la pagina con il sunto dei temi della puntata.