La cultura deve rendere (?)

Vi riporto il secondo paragrafo del capito quarto Economia e cultura da un libro estremamente interessante di Mariella Zoppi, Beni culturali e comunità locali, Electa, Milano, 2007. 

È un libro molto recente e presenta riflessioni efficaci. Qui l’autrice parla del rapporto tra economia e cultura, riallacciandosi alla visione di Settis (Mariella Zoppi è dal 1986 professore ordinario di urbanistica alla facoltà di Architettura di Firenze, di cui è stata preside dal 1990 al 1994), ma in modo più propositivo, esprimendo una concezione di territorio meno utopistica di De Varine e orientata ad una visione gestionale immensamente meno banale di quella di Kerbaker.

Ultima cosa. Questo libro, come quello che avevo già citato di Settis, appartiene ad una collana stupenda dal titolo Electa per le Belle Arti. Per chi fosse interessato, molti libri sono in vendita al bookshop della Pinacoteca di Brera, ma ancora più fornito è quello della GNAM di Roma. Mi rendo conto che è un po’ più lontano, ma vi assicuro che trovereste libri interessanti. Se capitate a Roma, visitate la Galleria Nazionale d’Arte Moderna perché merita davvero. Se mostrate il libretto di Storia dell’Arte, Scienze dei Beni Culturali e credo anche quello dell’interfacoltà, entrate gratis e non pagate neppure le mostre temporanee. Vi ho sottolineato quello che mi sembra più significativo.

La cultura deve rendere

Siamo di fronte a un dilemma: da una parte la cultura costa e questo è di certo un problema nella contingenza economica del paese, ma d’altra parte la cultura è una particolarità che fa dell’Italia in tutto il mondo una terra attrattiva e attraente per uomini e merci (made in Italy, turismo culturale, prodotti di lusso e di alta qualità). Una peculiarità che rende necessario investire in cultura, conservare il nostro patrimonio, proteggere il nostro paesaggio. Ma non può ridursi solo a questo, la cultura non è solo un passato da studiare e mostrare, è soprattutto un presente da vivere, la capacità di esprimerlo e di concretizzarlo in esperienze creative, in grado di far germogliare i semi del futuro, un’esperienza che potrà essere tanto più ricca per quanto saprà avvalersi della consapevolezza e della vastità della sua storia. Per questo investire in cultura non può essere ristretto alla sola protezione del patrimonio, né tanto meno deve avere il significato di spesa a “fondo perduto”, ma deve avere tutte le caratteristiche della spesa di investimento. Niente, infatti, è potenzialmente più redditizio. Investire in conoscenza è già di per sé un investimento produttivo, e non si può banalizzare riducendolo ad un errato sillogismo: se la cultura è una ricchezza del paese, come ogni ricchezza deve produrre reddito e lo deve, preferibilmente, produrre nel breve e medio periodo. Niente è più sbagliato, superficiale e pericoloso. […] Va evidenziata la vischiosità di questa impostazione che vede il patrimonio culturale come un insieme statico che non ha bisogno di riprodursi e alimentarsi, ma solo di essere conservato per essere fruito (non a caso la parola “fruizione” si è recentemente affiancata anche per il legislatore ai più antichi termini di valorizzazione e gestione) ovvero usato e sfruttato. Una prassi che, ricondotta a obbiettivi puramente economici, può essere pericolosa se è rivolta esclusivamente al breve periodo senza curarsi della crescita culturale del paese, né di un futuro che potrebbe essere consumatore di se stesso, e quindi perdente a lunga scadenza. […] La centralità dell’interesse, il focus strategico della politica sui beni culturali non risiede nel patrimonio culturale in quanto tale, ma nella coesione tra beni, infrastrutture e attività culturali che devono essere continuamente alimentate, pena il declino proprio di quelle “derivate” che producono reddito, ovvero delle economie collegate (ospitalità, commercio, ristorazione) che sono una conseguenza e non l’elemento di messa in moto del sistema. Il binomio beni-attività è dunque il tema strategico da affrontare e implica lo studio e la messa in rete di tutte quelle relazioni che legano monumenti, attività creative, paesaggio e territorio. In breve, significa portare a sistema e connettere le buone pratiche esistenti, previste o prevedibili: questa è un’esigenza, anzi un’urgenza, del paese.

Nella ricerca di una crescita culturale dell’Italia, non va trascurato nessun aspetto, non va disprezzato né demonizzato nulla: dalla piccola mostra d’arte alle manifestazioni nazional-popolari, dal restauro sofisticato di una pala trecentesca alla riorganizzazione dei musei e delle biblioteche o al recupero di tradizioni popolari che si vanno perdendo. Tutto concorre alla composizione e alla continuità di vita del patrimonio: conservare per tramandarlo in modo attivo fa parte di quel binomio “diritto-dovere” che è connaturato alla cultura. Infatti se la cultura è un diritto, come ogni diritto va da una parte garantito e dall’altra parte consapevolmente acquisito ed esercitato. Questo significa organizzare e creare un sistema di relazioni complesse e non lasciarlo alla deriva con poche risorse, con episodiche priorità, qualche clientela e benevolenza elargita, mantenendo una marea di problemi irrisolti affidati a un personale insufficiente, magari qualificato, ma tenuto in condizioni di marginalizzazione se non di precarietà, all’interno di una logica che vede la cultura come parte del tempo libero e non cardine essenziale della formazione individuale e sociale di tutti i cittadini. 

Francesca TROVALUSCI – LS Storia dell’Arte

 

Brescia, un esempio di gestione museale e del territorio

Ricevo e pubblico volentieri questo contributo di Enzo Puglisi.

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