I nostri beni. Una legge li salverà?

Dopo aver letto Italia Spa di Settis, mi sono riproposta di documentarmi maggiormente sulle sue posizioni, e quindi ho trovato una raccolta di suoi scritti tratti da articoli, interviste, conferenze:  

S. SETTIS, Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, Electa, 2005.  

Dal libro traggo questo dibattito a cura di Elena Polidori, pubblicato con il titolo I nostri beni. Una legge li salverà?, in La Repubblica, 4 dicembre 2002 (cfr. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/12/04/167i.html).

Penso sia molto interessante per comprendere meglio le affermazioni del libro d’esame.

 

Cambia la legge sulla vendita del patrimonio pubblico. E’ già al lavoro una commissione che, con la partecipazione di Sabino Cassese, dovrà «demarcare» ciò che è patrimonio artistico intoccabile, come il Colosseo o Fontana di Trevi, da ciò che artistico non è e dunque potrà essere ceduto. In arrivo c’ è anche un catalogo di tutti i beni pubblici non disponibili, diviso per categorie. Giuliano Urbani, ministro dei Beni e delle Attività culturali l’ annuncia durante un contraddittorio con Salvatore Settis, storico dell’ arte e direttore della Normale di Pisa, oltre che ex direttore del Getty Research Institute. Tanto Urbani che Settis hanno scritto un libro sul presente e sul futuro del patrimonio dello Stato. Quello del ministro (Il tesoro degli italiani, Mondadori) difende com’ è ovvio l’ azione del governo e in particolare l’ istituzione della Patrimonio Spa, la contestata società che dovrebbe valorizzare i beni pubblici. Quello di Settis (Italia Spa, Einaudi) rappresenta all’ opposto un duro atto d’ accusa e mette in guardia rispetto all’ «assalto» al patrimonio culturale dell’ Italia da parte del governo e dei privati. Il colloquio si svolge nella redazione di Repubblica e muove appunto dai libri.

La legge sulla Patrimonio Spa ha suscitato molte polemiche: c’ era e c’ è il timore che le bellezze d’ Italia finiscano nelle mani dei privati. Urbani ha dedicato alla questione solo sette pagine e mezzo. Settis un intero saggio. Una evidente disparità, come mai?

URBANI «Per me la Patrimonio Spa funziona e non deve intimorire perché i beni culturali sono già tutelati da altre leggi. Però c’ è stata polemica, è vero, peraltro mal condotta dalla nostra opposizione parlamentare e non parlamentare. Diciamo che hanno scelto la via del manicheismo: tutto ciò che fa il governo è male. Siamo arrivati al ridicolo di contraddire per intero la gestione precedente. Ma un amministratore pubblico non è solo un amministratore, è anche un signore che sa che meno dissenso c’ è, meglio è. Perciò ho pensato alla Commissione di esperti: decideremo così nei dettagli cosa privatizzare. Ma ripeto: il patrimonio artistico già oggi è difeso».

SETTIS «Illustri giuristi da me consultati dicono di no. In via teorica il meccanismo della nuova legge prevede anche che si possa vendere il Colosseo: la normativa non lo esclude. Certo, ci vogliono le firme contestuali di Urbani e Tremonti. Ora i nostri ministri dicono che non firmeranno mai una cosa del genere: voglio crederlo. Ma che ne so io chi saranno i ministri tra otto, dieci, vent’ anni?. E poi quando Urbani scrive nel suo libro che il nostro patrimonio nasce dai privati e dunque al massimo glielo restituiremo, ecco, è questo tipo di affermazioni che mi lasciano sconcertato. Sarebbe come dire che l’ Unità d’ Italia l’ ha fatta un privato di nome Giuseppe Garibaldi. Il patrimonio, comunque sia arrivato, c’ è. E di mezzo c’ è l’ entità dello Stato che lo elabora, i cittadini, la coscienza civica».

URBANI «Mi si consenta una precisazione: io sono un politologo e dunque attribuisco alle parole un significato più politico. Quando con una battuta dico che restituiremo ai privati un patrimonio realizzato dai privati, intendo dire che la peculiarità dei nostri beni artistici è quella di nascere più dall’ iniziativa dei cittadini che non da quella delle istituzioni nazionali che peraltro fino ad un secolo e mezzo fa non c’ erano neppure».

Al dunque cosa sarà privatizzato?

URBANI «Parlerei di privatizzazioni tra virgolette. In realtà si tratta di gestione in concessione. Chiederemo aiuto, con le modalità più sperimentate, a un mondo di specialisti per la gestione dei musei. Ma il pubblico rimarrà il padrone assoluto dei musei; i sovrintendenti restano i tutori. Diverso è il discorso delle dismissioni: c’ è un enorme quantità di beni di cui lo Stato dovrebbe disfarsi. E’ nell’ interesse pubblico venderli. Si tratta di capire cosa è disponibile e cosa non lo è».

SETTIS «E’ chiaro che nel patrimonio pubblico ci sono vecchi appartamenti lasciati da qualche vedova o vecchie scuole che non si usano: queste cose, se si vendono, è un bene. Il problema riguarda il patrimonio culturale. Qui è l’ assalto. Non si possono mettere teoricamente sullo stesso piano, sia pure con delle garanzie, l’ appartamento del 1950 e un bene culturale. E allora è chiaro che la Fontana di Trevi o il Colosseo non li vende nessuno, ma i beni più piccoli? Che ne è dei beni più piccoli? Ci vuole un intervento normativo che chiarisca bene ciò che è culturale ed incedibile. Da questo punto di vista la Commissione annunciata dal ministro aiuta».

Per favore, ministro, può spiegare bene il senso di questa commissione?

URBANI «Servirà appunto a tratteggiare un ragionevole confine tra ciò che è patrimonio artistico inalienabile e ciò che non lo è. Dico ragionevole perché non sarà facile per un paese come il nostro fare questa distinzione. Sarà poi ben richiamato il sistema dei vincoli a cui i beni sono già oggi sottoposti e a cui tutti teniamo molto».

Dunque in qualche modo il governo corregge la legge: è un ripensamento?

URBANI «Il campo è talmente delicato che più chiarezza facciamo e meglio è: siamo tutti più tranquilli rispetto al nostro patrimonio».

SETTIS «Se questa commissione ha il compito di fare chiarezza è un’ ottima notizia: vuol dire che prima chiarezza non c’ era. Ripeto: servono garanzie assolute per ciò che è patrimonio culturale. Questo è il punto».

Servirà anche un catalogo dei beni culturali. In Italia non c’ è e in passato i tentativi di realizzarlo sono andati a vuoto…

URBANI «Sì certo, serve, ma non universale perché sarebbe un’ aspirazione infantile e occorrerebbero dieci anni. Al contrario, il catalogo in un paese come l’ Italia dovrà dire solo ciò che non è disponibile. Può fissare delle categorie, non fare elenchi».

SETTIS «Il fatto che finora non si è provveduto ad affrontare in modo sensato il discorso del catalogo denuncia uno scollamento istituzionale tra le esigenze di bilancio del paese e la gestione dei beni culturali. Se adesso si fa, tanto meglio. Detto questo: un catalogo universale è impossibile, è vero. Ma forme di catalogo progettate, questo sì. Mi chiedo: perché non se ne può fare uno finalizzato solo alle dismissioni? Già si escludono per esempio tutti i quadri, ci mancherebbe. C’ è poi un altro punto su cui non sono per niente d’ accordo col ministro: le mappe del rischio. Urbani nel libro scrive che queste cose possono farle anche i giovani, con un personal computer, a casa propria, nei pomeriggi liberi dalla preparazione degli esami universitari. E’ sbagliatissimo: queste sono cose di alta professionalità».

Finora s’ è avuta solo una prima radiografia dei beni pubblici realizzata dall’ Agenzia del Demanio: è uscita la scorsa estate ma era scritta in cifre, secondo un elenco di speciali particelle: non ci si capiva nulla.

URBANI «Vorrei ricordare che siamo in un paese che ancora non ha un catasto degno di questo nome. E vorrei aggiungere che io personalmente non dispongo neppure di un catalogo dei beni a rischio: non so dove concentrare le priorità perché non so dove sono i rischi maggiori. Quindi, figuriamoci…. Il lavoro da fare è immenso. Per questo insisto: non pensiamo a un catalogo universale, ma ad uno che elenchi ciò che non è disponibile, diviso per categorie. Oltretutto, grazie al cielo, gli archeologi continuano a scavare, a scoprire. Al resto, alle zone grigie, penseranno i sovrintendenti che sono quasi una magistratura».

Ministro, il presidente Ciampi, nel promulgare la legge su Patrimonio, ha chiesto garanzie per la vendita dei beni e chiarezza sui bilanci. Settis scrive che l’ appello è rimasto lettera morta. Lei che dice?

URBANI «Non dimentichiamo mai che su quella legge il presidente ha apposto la sua firma. Vuol dire che ne ha condiviso la legittimità e anche la sufficienza formale. Dal punto di vista sociologico mi rendo conto che chi amministra ha il dovere di farlo con il consenso dei cittadini: meglio dunque accogliere perplessità e dissensi con una norma in più. Siamo il paese dell’ eccesso normativo e dei ricorsi: non posso io fare il prezioso. Seriamente: più condivisione abbiamo delle regole del gioco, meglio è».

Il ministro converrà però che la legge è apparsa come un tentativo di monetizzare immediatamente qualcosa, per far arrivare quattrini nelle casse dello Stato. Era proprio necessario fare una legge prima di dotarsi degli strumenti che ne regolano la gestione? Non è stato un danno d’ immagine per il governo?

URBANI «Nessun danno. C’ è stata solo, come ho già detto, una vivace polemica, per di più mal condotta».

Il concetto di far cassa però è ben evidente.

URBANI «Questo non lo nego: è l’ obiettivo innovativo della legge».

Ciampi non a caso parlava anche del rendiconto: voleva cioè una cassa pulita, chiara.

URBANI «E’ semplicemente un problema di soggezione e controllo della Corte dei Conti. Punto. A questo è stato risposto in maniera puntualissima ringraziando il presidente e accogliendo il suggerimento. Il rilievo del capo dello Stato è stato un auspicio, non un diktat. Non ha detto: se non fate questo io non firmo la legge».

SETTIS «Sulla questione del far cassa o non far cassa dico solo che c’ è la Costituzione e una chiara sentenza della Corte costituzionale che sancisce la priorità del valore culturale: non può essere subordinato ad altri valori, compresi quelli economici».

Ministro, tra gli oppositori della Patrimonio c’ è anche la Corte dei Conti. Ha scritto che in nessun paese Ocse si riscontra una soluzione così radicale nell’ affidare la gestione del patrimonio dello Stato. L’ accusa è consistente e non è di parte politica. Cosa ne pensa?

URBANI «Che non è un’ accusa: è una constatazione. Mi spiego: proprio secondo l’ Ocse siamo al penultimo posto in materia di libertà economica all’ interno dell’ area perché abbiamo una dimensione enorme del patrimonio, non artistico, posseduto. Per arrivare al livello di Germania, Francia e Inghilterra dobbiamo proprio fare ciò che la Corte descrive. Ecco perché, nella mia lettura non è un’ accusa, ma una constatazione di qualcosa di positivo, che per di più va fatta».

Eppure sembra lo stesso una critica…

URBANI «Non credo proprio. Se riusciamo a staccare il patrimonio artistico da quello pubblico, si capisce che la Patrimonio Spa insieme alla società Infrastrutture è stata creata per una ragione molto semplice: abbiamo un debito pubblico enorme sul quale paghiamo fior di interessi. Tutti noi cittadini, quotidianamente. Abbiamo invece un patrimonio pubblico, il che ci mette al penultimo posto in graduatoria, su cui paghiamo solo costi con ricavi irrilevanti. Le due società sono state fatte insieme perché dalla valorizzazione in senso economico dei beni pubblici – Patrimonio Spa- arrivano risorse per realizzare le infrastrutture di cui il paese ha bisogno».

Bel paradosso. Dobbiamo cioè auspicare più autostrade per avere più tutela dei beni artistici?

URBANI «Io auspico più infrastrutture per il paese che ne ha bisogno. Ma non per avere più tutela, bensì più risorse per l’ amministrazione in generale. Del resto, in un contesto di risorse decrescenti o ci inventavamo questo oppure… Mica potevamo istituire la quarta giocata settimanale all’ Enalotto. Era troppo».

Ora i poteri: Settis scrive che enorme è l’ arbitrio del ministro dell’ economia e debole la potestà del ministro dei beni culturali. Aggiunge che basteranno le vostre due firme per vendere il Colosseo. E’ così?

URBANI «Il potere di decidere una dismissione è metà per uno».

SETTIS «I giuristi da me consultati dicono che è giusta la mia interpretazione sulla suddivisione dei poteri tra lei e Tremonti. Tuttavia io non ho mai pensato che Urbani voglia vendere un bene culturale importante né che voglia farlo Tremonti, perché non voglio dire che lui è quello buono e quell’ altro il cattivo. Il punto è che, al momento, la normativa non esclude che il Colosseo possa essere venduto».

La nuova legge prevede anche un canone d’ uso, un affitto al valore di mercato per certi beni. Settis si chiede nel libro quali sono i prezzi degli uffizi, di Brera, del Pantheon? Si calcoleranno in base al loro uso attuale o a potenziali trasformazioni in condomini, garage, discoteche?

URBANI «Noi abbiamo il dovere di valorizzare le proprietà pubbliche sottoutilizzate. Quanto agli Uffizi, quelli non sono disponibili. Lo sono invece le biglietterie. Tutto quello che rientra nella valorizzazione del patrimonio pubblico va separato dal patrimonio artistico altrimenti è chiaro che viene fuori la domanda: affittiamo gli Uffizi? La risposta è no».

SETTIS «Forse i giuristi da me consultati non hanno capito, ma secondo loro la legge non dice qui si affittano gli Uffizi a qualcuno. Dice invece: si affittano gli Uffizi agli Uffizi. Mi spiego: lo Stato, che possiede il fabbricato in cui ha sede il museo, fa pagare agli Uffizi il prezzo dell’ affitto. E lo decide Tremonti, lei stavolta non c’ entra. Questo è rischiosissimo».

Ministro, Tremonti sta firmando col sindaco Veltroni un protocollo per la valorizzazione del patrimonio mentre Berlusconi ha appena affidato al Fai Villa Gregoriana a Tivoli. Siamo forse di fronte ad una strategia per tacitare le polemiche per poi un domani fare ciò che si vuole?

URBANI (scherzando) «Dovrei rispondere: come si permette?». Poi, serio: «Dietro il nostro comportamento non c’ è falsità, perché altrimenti lo sarebbe anche questa nostra conversazione, qui a Repubblica con le mie dichiarazioni tranquillizzanti. Certo, è interesse di chi governa tranquillizzare, ma tacitare no». (a cura di Elena Polidori)

 

Francesca TROVALUSCI

LS Storia dell’Arte

Mezza giornata al FAI presso il chiostro e la chiesa di Sant’Antonio a Milano tra i giovani “Apprendisti ciceroni”

Quest’anno mi è stato proposto di partecipare alla giornata del FAI in modo “collaterale”: alcuni dei nostri colleghi della Specialistica in Storia dell’Arte hanno scelto di fare lo stage curricolare presso la Fondazione per l’Ambiente Italiano, che in vista della giornata di Primavera 2008 ha formato alcuni ragazzi di due licei milanesi a fare da “ciceroni” in due dei tanti monumenti aperti per quest’occasione (in riferimento a questo progetto potete leggere l’articolo sul sito della Cattolica nella home page della facoltà di Lettere, sede di Milano). Alcuni di noi sono stati contattati per somministrare, al termine del percorso, il questionario di valutazione elaborato con lo scopo specifico di capire quanto i visitatori sono stati “soddisfatti” da questo progetto didattico. Io in particolare ero nel sito della chiesa e del chiostro di Sant’Antonio, complesso di monumenti in realtà ben poco conosciuto (anche dalla sottoscritta!).

Benché io sia stata contatta come “esterna”, quindi io per prima non ero a conoscenza di questa iniziativa (o meglio, della possibile collaborazione del FAI con l’Università), ho notato con po’ di stupore il fatto che molti dei tantissimi visitatori a cui ho potuto somministrare il questionario non avevano idea del progetto didattico che il FAI ha elaborato in collaborazione con i loro ragazzi (ben più giovani di quanto immaginassi: erano solo di terza e quarta liceo!). Il progetto “Apprendisti ciceroni” era forse uno degli aspetti più importanti dell’apertura di questo complesso monumentale: i ragazzi hanno collaborato con gli studenti dell’Università Cattolica (oltre che con i funzionari del FAI) non solo per cercare ed elaborare il materiale storico- artistico su cui avrebbero strutturato il percorso di visita, ma anche nell’elaborazione di una breve, ma a mio giudizio ricca, galleria fotografica situata nel primo chiostro, quello ristrutturato, coperto e adattato a sala conferenze negli anni Cinquanta del XX secolo. Le foto, ingrandite, sono risultate leggermente sgranate (piccolo neo, pienamente giustificabile, se si pensa che le fotografie sono state fatte dai ragazzi stessi, con le loro macchine fotografiche dunque con una risoluzione certamente non professionale e che rende ancora più “autentico” il risultato), ma veramente indicative del percorso di studio affrontato dai ragazzi: i soggetti di queste foto, credo su consiglio degli stagisti specializzandi in Storia dell’Arte, non erano ovviamente scelti a caso; erano tutte chiese e monumenti che avevano avuto nell’epoca barocca e, nel caso specifico milanese, borromaica, un momento importante della loro vita, esattamente come il complesso di Sant’Antonio. E’ stato quindi utile per contestualizzare storicamente e stilisticamente il complesso che avrebbero dovuto illustrare a centinaia di visitatori (accaniti, aggiungo io…). Il significato delle foto, poi, è stato “adeguato” al contesto della mostra con interventi in fotoshop: bellissima la foto della cupola di San Lorenzo in contrasto deciso con delle foglie rosso acceso, forse anche per sottolineare la straordinaria continuità di vita di questa basilica.

Il commento più diffuso che ho rilevato è che questo progetto didattico è servito moltissimo ad avvicinare i nostri studenti al patrimonio storico e artistico italiano e che risorse umane, ma soprattutto economiche, permettendo dovrebbe essere replicato sul territorio più spesso e coinvolgendo sempre più professori. Come è stato notato anche a lezione la maggior parte dei visitatori apparteneva ad una fascia d’età piuttosto elevata…effettivamente i soli giovani che ho visto, oltre ai Ciceroni, erano i loro parenti! Forse è da attribuire al fatto che già all’interno delle scuole superiori i professori non sono a conoscenza di questo tipo di eventi, o semplicemente, credo con grave danno per i nostri giovani, non sono interessati… mi sembra veramente assurdo che si sia potuto coinvolgere solo quattro licei in tutta la città! Questo aldilà di tutte le ragioni possibili: mancanza di personale, mancanza di informazione, mancanza di risposta da parte delle scuole. Credo sia un’occasione straordinaria per lavorare con il patrimonio artistico locale (e vorrei precisare che locale non necessariamente significa provinciale o qualitativamente inferiore) facendo si che i giovani conoscano e si appassionino a ciò che vedono quotidianamente, aldilà delle meravigliose opere d’arte “titaniche” studiate sui manuali, ma che tanto spesso si sentono lontane.

In riferimento al confronto fatto anche a lezione, “Settimana della cultura vs FAI”, questa apertura alle scuole, ai giovani e alla loro formazione fa acquistare parecchi punti al fondo Italiano per l’ambiente!

Un’ultima osservazione, che è stata rilevata dai visitatori stessi, è la vicinanza cronologica di queste due iniziative: due eventi organizzati solo una volta all’anno, tutti concentrati in due settimane consecutive! Forse è stata una cosa ricercata, o una coincidenza, ma a questo punto credo che bisognerà farci più attenzione in futuro… davvero molti hanno sentito l’eccessiva concentrazione di iniziative per molti aspetti simili.

Alessandra Turetta

Palazzo Isimbardi – sede della Provincia di Milano

1. Introduzione

 

Evento scelto:

Apertura straordinaria con visita guidata gratuita a Palazzo Isimbardi, promossa dalla Provincia di Milano in occasione della manifestazione “Giornata di Primavera 2008”

Data: 6 aprile
Costo del biglietto: gratuito
Prenotazione: Nessuna prenotazione
Città: Milano
Luogo: Palazzo Isimbardi
Indirizzo: via Vivaio,1 (ingresso da Corso Monforte, 35)

Provincia: Milano
Regione: Lombardia
Orario: ore 14.00- 19.00

 

Di quale bene si tratta:

Palazzo Isimbardi è la sede storica della Provincia di Milano. La parte più antica di questo palazzo risale almeno al XVI secolo. È possibile che la sua costruzione risalga a un periodo precedente, anche se non esistono documenti che possano provarlo. All’interno sono conservate opere d’arte.

 

Breve descrizione delle caratteristiche del bene:

Palazzo Isimbardi nasce come dimora di campagna, in una zona, quella nei pressi di S.Babila, oggi centralissima, ma all’epoca al di fuori della cerchia delle mura. Al 1497 risale il più antico documento che testimonia l’esistenza di questo palazzo e la sua appartenenza alla famiglia Pallavicino.

Nel 1552 la villa passa alla facoltosa famiglia Taverna che già possiede un palazzo in Milano e desidera avere anche una residenza estiva, di campagna.

In quello stesso periodo, con la rivoluzione urbanistica del governatore Ferrante Gonzaga, il palazzo rientra nella cerchia dei “bastioni” e quindi fa parte a pieno titolo della città di Milano.

L’importanza della villa cresce, ma trovandosi ancora in una zona semirurale rimane intatto il suo fascino “di campagna”. Comincia però ad assumere i connotati di un vero “palazzo”, pur mantenendo le sue funzioni di villa, luogo dedicato agli svaghi.

Nel 1731 il palazzo passa ai conti Lambertenghi fino al 1775, anno in cui viene acquistato dai marchesi Isimbardi, dai quali prende il nome che mantiene attualmente.

Gli Isimbardi, provenienti dal Pavese e quindi poco conosciuti a Milano, avevano bisogno di un’abitazione di prestigio per inserirsi nel “bel mondo” della Milano di quel tempo. Perciò rimaneggiano il palazzo aggiungendovi stucchi  e porte laccate e lampadari di gusto veneziano.

Per uniformarsi al gusto ottocentesco viene modificata in seguito la facciata, che diventa di stile neoclassico, e il giardino, non più all’italiana, ma all’inglese.

Nel 1918, estintasi la famiglia Isimbardi, il palazzo viene acquistato dall’industriale legnanese Tosi, che ne modifica le sale privilegiando la funzionalità borghese allo stile aristocratico.

Negli anni ’30 la Provincia di Milano acquisisce l’immobile per farne la propria sede.

 

2. Motivazione della scelta

 

Cosa mi ha portato a privilegiare la scelta di questa visita rispetto ad altre possibilità:

Sebbene questo bene non compaia nell’elenco dei beni aperti durante la giornata di Primavera del FAI, la provincia di Milano ha deciso di aprire straordinariamente il palazzo alle visite, per approfittare del gran numero di persone già in movimento per l’iniziativa FAI.

Perciò la visita, guidata e gratuita, cui era possibile accedere senza prenotazione, non era organizzata dal FAI, ma dalla provincia di Milano.

La cosa mi ha tratto in inganno, perché inizialmente ero convinta che si trattasse di un bene aperto solo in questa occasione (invece è visitabile su prenotazione ogni primo e terzo venerdì del mese) e la coda di persone davanti all’ingresso sembrava confermare questa mia convinzione.

L’interesse però era dato anche dal fatto che avevo sentito parlare della sede della provincia di Milano dal mio papà, che, per motivi di lavoro, è stato costretto a “visitare” i suoi uffici piuttosto spesso e che aveva affermato che non c’era niente di interessante da vedere. Come potete intuire, non mi sono lasciata convincere granché dalle sue parole.

 

Dove ho raccolto informazioni:

In una pagina interna del quotidiano di sabato 5 ho visto la pubblicità dell’iniziativa (tra l’altro letta senza sufficiente attenzione, dato che non mi sono resa conto che il bene non faceva parte dell’iniziativa FAI nonostante le date coincidessero).

 

3. Costi

L’unico costo sostenuto è stato quello della metropolitana (€ 2), dato che mi trovavo già a Milano per la visita a Palazzo Mezzanotte.

 

4. Valutazione dell’esperienza

Poiché la visita a palazzo Mezzanotte era terminata alle 17.30 circa e palazzo Isimbardi chiudeva alle 19.00, ho pensato non dovessero esserci problemi per la visita.

Invece, appena arrivata (verso le 17.40 circa), ho visto subito un nutrito numero di persone sul marciapiede in attesa di entrare. Nonostante questo non mi sono scoraggiata, perché la coda affrontata per l’ingresso alla Borsa era almeno quadrupla e si era risolta nel giro di un’ora o poco più.

Invece, mentre altre persone si affollavano in coda dopo di me, non si avanzava affatto.

L’attesa intanto cominciava a diventare estenuante e faticosa, dato che ero schiacciata tra chi mi stava davanti e chi mi stava dietro, senza possibilità di muovermi.

Alle 19.30 finalmente sono riuscita a varcare l’ingresso di Palazzo Isimbardi e ho scoperto di avere ancora almeno un’ora di attesa davanti a me, perché le 8 (?) guide non potevano accompagnare più di 20 visitatori per volta (per motivi di “tenuta” di alcune sale, che devono ancora essere pienamente ristrutturate) e c’erano già diversi gruppi in attesa nel cortile, che aspettavano l’arrivo di una guida che li venisse a prelevare.

Alle 20.30 finalmente ho potuto cominciare, insieme col penultimo gruppo di persone, la visita di palazzo Isimbardi.

Per fortuna la guida, seppure stanchissima, si è dimostrata preparata, simpatica, disponibile e soprattutto ironica nell’evidenziare i tratti più particolari di palazzo Isimbardi, raccontandoci aneddoti storici e curiosità.

Il percorso di visita durava un’ora e siamo usciti dal Palazzo alle 21.20.

 

5. DAP

Per una visita di questo tipo non può essere richiesto un pagamento, almeno non con una simile organizzazione e in tali condizioni!

Con un’organizzazione migliore e data la preparazione delle guide (che sono tra l’altro normali dipendenti della Provincia, coinvolti in questo progetto per loro interesse personale), si potrebbe far pagare un biglietto tra i 3 e i 5 €, magari con ingresso gratuito per chi abita nel territorio della Provincia di Milano.

 

6. Altro

Nel percorso di visita ci è stato anche richiesto di esprimerci sulla sistemazione del monumento che la Provincia ha commissionato per ricordare le vittime del terrorismo e che attualmente si trova nel giardino del Palazzo. L’alternativa è di renderlo visibile a tutti posizionandolo in via Vivaio, all’ingresso degli uffici della Provincia, ma si teme che possa essere danneggiato da vandali.

Il risultato di questo sondaggio, effettuato tra tutti coloro che visitano il Palazzo, deciderà la collocazione definitiva del monumento.

 

Paola Valenti

 

 

 

 

A CASTELLANZA COL FAI

Le Giornate di Primavera del FAI sono sempre un appuntamento interessante. Gli anni passati ho avuto, in queste occasioni, la possibilità di visitare luoghi speciali come la Villa della Porta Bozzolo (a Casalzuigno, proprietà FAI)e il Monastero di Torba (a Gornate Olona, anch’esso proprietà FAI). Quest’anno, programma alla mano, ho scelto di visitare qualcosa di veramente vicino a casa, ma che, per mancanza di tempo o di possibilità e con la convinzione che “tanto è lì, lo vedo quando voglio”, rischiavo di perdermi. Tra i beni aperti in Lombardia, infatti, vi erano a Castellanza (VA) sia il Palazzo Carminati Brambilla, sede del Municipio, che il Museo di Arte Moderna Pagani. Per entrambe le visite non è stata necessaria alcuna prenotazione, inoltre l’organizzazione del FAI comprende una navetta gratuita che porta dal Municipio al Museo e viceversa. Nel primo pomeriggio mi sono recata presso la sede del Municipio. Esso è situato in un edificio di grande pregio storico e architettonico risalente, secondo il Catasto Lombardo Veneto, al 1821. Commissionato da Brambilla Carminati all’architetto Leopoldo Pollack, riflette l’influenza del maestro di quest’ultimo, nientemeno che il Piermarini. L’apparente semplicità e austerità, rivelano al contrario l’attento studio prospettico dell’architetto, che utilizza le differenti altezze dei corpi di fabbrica, le cornici marcapiano e sottogronda come linee di fuga ideali: l’effetto ottico annulla le differenze di quota delle linee orizzontali del corpo centrale rispetto ai due laterali. All’interno, le sale di rappresentanza sono decorate da affreschi neoclassici di raffinata fattura. La villa, che nasce come residenza di villeggiatura, rimane di proprietà della famiglia Carminati fino al 1920, quando in seguito ad un’asta, è acquistata dal comune di Castellanza, grazie all’aiuto economico delle imprese cittadine (Cantoni, Pomini, etc). In seguito ad un primo restauro risalente al 1970 e attuato con criteri non strettamente filologici, si è deciso di procedere con un nuovo restauro a partire dal 2007. Esso è ancora in corso e, durante la visita è possibile vederne i risultati parziali.

Come ho accennato, dal Municipio è stato possibile trasferirsi alla Fondazione Pagani, Museo d’Arte Moderna. Il Parco-Museo Pagani nasce nel 1960 per volontà del gallerista Enzo Pagani ed è stato il primo esempio in Italia di Parco open air per l’esposizione di statuaria moderna e contemporanea. Ha subito, nell’arco di decine di anni, evoluzioni ed espansioni che lo hanno portato a 30 mila metri quadrati di superficie in cui sono disseminate 557 opere tra sculture, rilievi e mosaici di artisti di 25 paesi del mondo. Vi predomina l’arte non figurativa e colpisce la varietà di composizioni murali di vario genere. All’interno del parco c’è anche un teatro all’aperto dove tutt’ora si svolgono rappresentazioni di vario genere.

Per entrambi i beni, abbiamo avuto come guide alcuni ragazzi del liceo Tosi di Busto Arsizio. Forse sono stata fortunata, ma le mie erano molto serie, preparate e spigliate. In seguito ho scoperto esserci anche una conferenza presso la Biblioteca Comunale. “Il patrimonio storico-artistico tra conservazione, restauro e moderna ambientazione: due esempi a Castellanza”. Si trattava del Museo Pagani e degli attuali restauri del Municipio in un’ottica di tutela e valorizzazione generale del patrimonio culturale italiano. Presenziavano Paola Bassani, architetto incaricato del restauro di Palazzo Carminati, e Angela Processione, giovane studiosa che presentava la sua tesi di laurea in Museologia, incentrata proprio sulla storia della Fondazione Pagani. Un argomento, per me, molto interessante e, ovviamente, in linea con la politica del FAI, che, appoggiandosi sulle sole donazioni, porta avanti un’imponente opera di conservazione, restauro e valorizzazione di beni di elevato interesse culturale.

La spesa che ho sostenuto è stata minima e frutto di una mia scelta. Sono andata in bicicletta e ho donato qualche euro alla Fondazione. La visita di questi beni, in occasioni diverse, mi avrebbe comunque vista disposta a spendere fino a 10 euro di biglietto.

L’esperienza, come le precedenti col FAI, è stata positiva. Ottima l’organizzazione, ottimo il livello della manifestazione. Buona anche la pubblicità, a differenza della Settimana della Cultura che trovo abbia peccato moltissimo a riguardo. Queste giornate dovrebbero essere un buon modo per rivolgersi ad un pubblico generico, che altrimenti non farebbe esperienze di questo genere: per raggiungere questo pubblico, bisogna pubblicizzare adeguatamente il programma. E le Giornate di Primavera ne sono la dimostrazione. Ci sono, talvolta, anche lunghe code per vedere palazzi, ville e chiese altrimenti chiusi o non visitabili. Le visite che necessitano di prenotazione registrano il tutto esaurito (motivo per cui mi è stato impossibile andare a vedere Palazzo Mondadori a Segrate). Questo è un successo. Non capisco perché l’iniziativa del Ministero non si sia ispirata alle giornate del FAI e alla loro organizzazione. Esse dimostrano che c’è un interesse di base nella popolazione e che un buon servizio di valorizzazione e fruizione è possibile.

Giulia Rosetti

LT in Scienze dei Beni Culturali