riforma titolo v costituzione

Contenuto nella seconda parte della nostra Costituzione, il Titolo V riguarda le disposizioni inerenti le Regioni, le Province ed i Comuni e comprende gli articoli dal 114 al 133. Tale Titolo è stato oggetto, nel corso della XIII legislatura, di una profonda riforma che si è realizzata tramite le leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n.3 del 2001 e il successivo referendum confermativo del 7 ottobre 2001.

Come affermato in un documento stilato dal Ministero della Giustizia: «questa importante riforma incide sulle problematiche relative al federalismo, al regionalismo e alla sussidiarietà: infatti, inserendosi nel cammino dischiuso dalle leggi Bassanini (cosiddetta “riforma a Costituzione invariata” o “federalismo a Costituzione invariata”) disegna un nuovo assetto istituzionale delle regioni e degli enti locali e, conferendo dignità costituzionale al principio di sussidiarietà, delinea un nuovo rapporto tra Regioni, Stato e Unione Europea […]».

La conferma di questo nuovo assetto istituzionale si ha già nell’art. 114 del Titolo V che definisce i Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni come “enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.

Infatti, prima della riforma del 2001 e dell’introduzione del principio di sussidiarietà, vigeva il cosiddetto “principio di parallelismo” in virtù del quale spettavano solo allo Stato e alle Regioni le potestà amministrative per quelle materie verso cui esercitavano il potere legislativo.
Bisogna quindi aspettare l’introduzione dell’art. 118 per sancire il necessario intervento in ambito amministrativo di tutti gli Enti pubblici territoriali, intendendo per questi non solo le Regioni ma anche le Aree Metropolitane, le Province e i Comuni.
Con il principio di sussidiarietà si stabilisce quindi che le attività amministrative debbano essere svolte in primis dai Comuni, in quanto entità territoriali amministrative più vicine ai cittadini, e, solo nel caso in cui il servizio possa essere reso in maniera più efficace ed efficiente, dalle Regioni, Province, Aree metropolitane e Comunità montane ed isolane che rappresentano i livelli amministrativi superiori a quelli comunali.

Questa riforma ha avuto dei chiari effetti anche sulla gestione dei Beni Culturali soprattutto per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio.
L’art. 117 dello stesso Titolo afferma infatti che la «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali spetta esclusivamente alla potestà legislativa dello Stato (punto s) pur essendoci in materia delle “forme di intesa e coordinamento” tra Stato e Regioni (art.118)».

La valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e l’organizzazione delle attività culturali costituiscono invece una materia di legislazione concorrente tra Stato e Enti Territoriali che rimangono però titolari delle funzioni amministrative nel rispetto del principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Questa suddivisione dei compiti viene ripresa anche dal Codice Urbani che nell’art. 4 (Funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale), in accordo con l’art. 118 della Costituzione, attribuisce le funzioni di tutela dei beni culturali esclusivamente al Ministero o, nel caso di accordi od intese, alle Regioni. Il successivo art. 5 definisce poi le possibilità di cooperazione in materia di tutela con il Ministero non solo da parte delle Regioni, ma anche da parte degli altri Enti pubblici territoriali.

Le potestà legislative in materia di valorizzazione secondo l’art. 7 (Funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio culturale) sono a carico delle Regioni che insieme agli altri enti territoriali cooperano con il Ministero nell’attività di valorizzazione.

Sia in materia di tutela che per quanto riguarda la valorizzazione il Ministero rimane sempre e comunque un punto di riferimento imprescindibile ma, a partire dal 2001 e dalla riforma del Titolo V, si riconosce una nuova possibilità di gestione dei Beni Culturali (vedi art. 115 del Codice).

Oltre a una gestione in forma diretta svolta per mezzo di strutture interne all’amministrazione e conforme ad un principio di sussidiarietà di tipo verticale (per cui la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto più vicini ai bisogni del territorio) si parla sempre più di una gestione indiretta svolta per mezzo di un affidamento dei beni culturali a istituzioni, fondazioni, associazioni e consorzi […].
Questa tipologia di gestione risulta preferibile rispetto alla prima in quanto permette al cittadino, sia come singolo che attraverso corpi intermedi, di cooperare con le istituzioni nella definizione degli interventi volti ad incidere sulle realtà sociali a lui più prossime.

Non si tratta più di un principio di sussidiarietà verticale ma orizzontale in cui i cittadini vengono responsabilizzati nei confronti di un patrimonio culturale che appartiene a tutti noi e che, per essere apprezzato e valorizzato a dovere, deve essere conosciuto e vissuto in prima persona.